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Se sei cresciuto negli anni ’90, è probabile che R.L. Stine e le sue storie ti abbiano accompagnato in un mondo di paura e mistero. La serie Goosebumps è stata un vero e proprio passaggio verso l’horror per i giovani lettori, mentre Fear Street ha cercato di colmare il gap verso un pubblico più maturo. Nonostante il successo della trilogia su Netflix, il nuovo capitolo, *Fear Street: Prom Queen*, non riesce a replicare la magia delle sue origini. Ambientato nella Shadyside degli anni ’80, il film ci porta nel turbinio di ansia e competizione che precede il ballo di fine anno, ma purtroppo non riesce a decollare come sperato.
Un’anteprima dell’orrore adolescenziale
La storia ruota attorno a Lori Granger, interpretata da India Fowler, una ragazza che non è esattamente la regina della popolarità. Con il ballo in arrivo, la competizione per il titolo di prom queen si fa serrata, soprattutto con la presenza della sua nemica di sempre, Tiffany Falconer (Fina Strazza), che incarna perfettamente il cliché della ragazza cattiva. È in questo contesto che il film cerca di esplorare le dinamiche sociali di un liceo americano, ma finisce per cadere in cliché prevedibili. La verità è che, nonostante i buoni intenti, i personaggi rimangono piuttosto superficiali e poco sviluppati, lasciando la sensazione di un potenziale sprecato.
Un’ambientazione che fa il suo dovere
Dal punto di vista estetico, *Fear Street: Prom Queen* riesce a colpire. La scenografia è curata e le scelte musicali, sebbene a volte scontate, catturano l’atmosfera degli anni ’80. La colonna sonora è caratterizzata da suoni synth che evocano una certa nostalgia, anche se l’uso di brani iconici come “White Wedding” di Billy Idol potrebbe risultare un po’ forzato. La ricostruzione della Shadyside High School è affascinante, con dettagli che portano alla mente i classici film di quel periodo. Ma, d’altronde, un bel vestito non basta a fare un bel film, giusto?
Personaggi piatti e dialoghi deboli
Purtroppo, il film soffre di un’assenza di profondità nei suoi protagonisti. Lori e i suoi amici non riescono mai a superare i loro archetipi. Un esempio è Megan, l’amica nerd di Lori, che purtroppo non riesce a esprimere appieno il suo potenziale. Le sue battute e il suo background non vengono mai esplorati come dovrebbero, lasciando il pubblico con un senso di insoddisfazione. Quando i momenti di tensione e dramma si presentano, il film non riesce a mantenere il ritmo e spesso scivola in conversazioni goffe e poco coinvolgenti.
Un finale prevedibile e deludente
Il climax del film purtroppo non sorprende. Arrivando verso la conclusione, ci si aspetta una svolta avvincente, ma la verità è che il finale appare scontato e poco avvincente. È un peccato, poiché ci si aspettava che i colpi di scena fossero più incisivi. La scrittura manca di quel tocco di originalità che avrebbe potuto rendere la storia memorabile. Anche le sequenze di omicidi, pur avendo un certo fascino nel loro campy gore, non riescono a elevare l’intera esperienza.
Un’analisi della mancanza di profondità
Confrontando questo capitolo con le precedenti pellicole della franchise, emerge chiaramente una differenza di qualità. Le prime tre avevano una narrazione più solida e personaggi più coinvolgenti, frutto del lavoro della regista Leigh Janiak. Qui, la mancanza di una visione femminile nella scrittura e nella regia si fa sentire, e, a mio avviso, questo fa una grande differenza. La trama di *Prom Queen* sembra più una scusa per mostrare momenti di horror adolescenziale piuttosto che un vero e proprio racconto ben costruito.
In sintesi, *Fear Street: Prom Queen* non è il peggior film horror mai realizzato, ma sicuramente non riesce a brillare come le sue controparti. Chi cerca un mix di nostalgia e brividi potrebbe rimanere deluso. È un viaggio che, purtroppo, non riesce a catturare l’essenza che ha reso la serie originale così amata.